domenica 12 febbraio 2017

L'ipocondriaco

Ecco l'ambulatorio. C'è una targhetta nera che indica li nome del dottore, la sua specializzazione, il piano e l'nterno dov'è alloggiato lo studio. Non sono di norma superstizioso, ma il colore  funereo dell' insegna, vista la mia attuale condizione emotiva, ha qualcosa di sinistro che alimenta il mio stato d'ansia. L'ascensore è guasto, devo salire a piedi fino al terzo piano... si puó fare. Giunto alla porta, busso. Mi accoglie  una ragazza molto giovane
- ho un'appuntamento, devo farmi visitare - gli dico subito. La ragazza mi sorride e mi fa entrare senza dire nulla. Mi sento un po' sciocco, la fanciulla con il suo sorriso mi sembrava che dicesse:
- è logico, se sei venuto fin qui vuol dire che devi farti visitare. Pensavi di essere andato dal salumiere? -
Nella saletta d'attesa ci sono giá altri pazienti, ne conto dieci. Mi siedo su una delle due sedie ancora libere e aspetto il mio turno. Nell'attesa sfoglio una delle vecchie riviste che spesso sono sparse sui tavolini degli ambulatori privati e ascolto i discorsi degli altri pazienti. Di solito sono i piú anziani quelli propensi a scambiare quattro chiacchiere anche con le persone che non conoscono. Cosí, per ammazzare il tempo.
-Questa mattina non ho potuto riscuotere la pensione - si lamenta un vecchietto rivolto a un'altra anziana signora.
- Nell'ufficio postale non c'era piú denaro liquido - continua, e imprecando sottolinea il suo disappunto. È sicuro che la vcchietta vicina viva le stesse preoccupazioni e quindi solidale con il suo stato d'animo.
Sono mesi  che  dovevo fissare un appuntamento per questa visita medica, ma ho sempre rimandato. Oramai rimandare le incombenze è diventata una routine nella mia vita. Sono riuscito a mettere assieme duecento euro, la visita ne costa cinquanta, ma è probabile che il medico mi chieda di effettuare una serie di accertamenti che naturalmente dovró pagare.  Negli ultimi venti anni, gradualmente, ma inesorabilmente, l'Assistenza Pubblica è venuta meno, oggi è quasi inesistente.
Sono venuto a piedi, camminare mi fa bene, anche perché la macchina ha un guasto al motore e io ho dovuto scegliere: se farmi visitare oppure far visitare l'auto dal meccanico. Mentre percorrevo la  strada che conduce all'ambulatorio, densa di palazzoni condominiali, la mia mente vagava tra un ricordo e l'altro. Pensavo che non sono piú giovane, ma neanche tanto vecchio, eppure tanto tempo mi é scivolato addosso senza che io possa dire di aver vissuto pienamente questa parte trascorsa della mia esistenza. Mi sembra come se io fossi stato sempre in attesa di qualche evento; che abbia faticato per raggiungere qualche cosa che nel mio immaginario sarebbe stata fonte di felicitá. Ora, fatti i bilanci, comprendo che sono stato veramente felice solo da bambino. mentre camminavo la mente, con i sui flashback, tornava sempre a quegli anni che forse non erano migliori di questi, ma ero migliore io, come lo sono sempre i bambini. Loro sono sempre migliori del mondo che li circonda. Lungo la strada mi rivedevo a passeggiare, in una giornata di sole, tra le siepi di una periferia ancora disabitata con qualche cantiere qua e lá. Sentivo il profumo dell'erbaccia e dei fiori selvatici mentre una brezza mi accarezzava il viso e il silenzio era rotto solo dal cinguettio degli uccelli e il frinire dei grilli. Mi rivedevo poi a correre nelle strade della cittadina natia insieme ad altri bambini. E lí,  ancora io, che giocavo a calcio con altri quattro nel cortile di un vecchio palazzo. Mi sentivo felice, avevo sempre un motivo per essere lieto, e se non c'èra lo trovavo. Poi, finiti gli studi, senza che me ne rendessi conto, il tempo ha cominciato a sfuggirmi tra le mani. Scorreva lento, ma implacabile.
I vecchietti intanto, nell'ambulatorio,  continuano a chiacchierare con i pazienti vicini, e lo fanno come se li conoscessero da anni. Passano da un argomento all'altro con un'abilitá che io invidio. Anche se i loro discorsi  sono intrisi di malinconiche frustrazioni. L'esigua pensione insufficiente per vivere decorosamente; i figli e le nuore che danno continui dispiaceri; incurabili malattie contratte da parenti e amici; la nostalgia per una giovinezza ormai lontana e cosí via. Discorsi che ho sentito cosí tante volte che preferisco distrarmi seguendo i disegni astratti sul pavimento di maioliche. Immagino che quelle decorazioni, curvilinee e modulari, siano strade. Quelle che si vedono in alcuni film americani; quelle strade lunghissime, sempre ben asfaltate, che attraversano sconfinate e assolate praterie. Poi, come in una ripresa cinematografica fatta dall'alto, su un elicottero, mi avvicino dolcemente fino a inquadrare il primo piano di un uomo alla guida di una cabriolet. Sono io, che sfreccio libero sulla strada della prateria con il vento tiepido che mi accarezza il viso. Sull'altro sedile un'attraente ragazza mi guarda sorridente e pronuncia il mio nome per due, tre volte, sempre piú forte. Adesso non mi sorride più, anzi sembra piuttosto seccata. Alzo la testa e mi ritrovo di nuovo nell'ambulatorio con la collaboratrice del dottore indispettita perché è il mio turno e mi ha chiamato piú volte.  -Eccomi, sono io - rispondo appena desto.
- si accomodi - dice la signorina questa volta con una smorfia di rimprovero. Entro nel gabinetto dello specialista e mi ritorna l'ansia e la preoccupazione per quello che potrebbe scoprire il medico.  Non mi ricordo da quando sono diventato ipocondriaco: temo sempre di avere qualche male oscuro che mi sta crescendo dentro. Il Luminare però ha la rassicurante flemma di chi sa il fatto suo, nota subito la mia preoccupazione e mi invita a calmarmi.
La visita e durata poco meno di quindici minuti. Il dottore non ha riscontrato nessuna anomalia nel mio organismo. Era, come sospettavo, ma non volevo ammettere a me stesso, tutto frutto di ansie e preoccupazioni accumulate nel tempo. - Si prenda una vacanza e stia tranquillo - mi ha  esortato alla fine. Mentre rientro a casa. ripercorrendo la strada che aveva risvegliato i ricordi fanciulleschi, un po' risollevato e un  po' deluso, rimugino sulle ultime parole del dottore: - si prenda una vacanza, cambi aria - , avevo la tentazione di rispondergli come aveva risposto la zia di un mio amico, al medico che le faceva la stessa esortazione: - lo sa dottore quali sono le mie preoccupazioni? Queste, mostrandogli il portamonete vuoto.

Da "Storie di ordinaria resistenza"

giovedì 14 aprile 2016

Ordinaria resistenza

Erano passati sette anni dall'inizio della crisi economica che aveva devastato l'Europa dal 2007. Eravamo indebitati fino a sopra la testa e avevamo tagliato le spese cominciando da quelle che ritenevamo superflue o su cui si poteva trovare un'alternativa. La spesa per gli alimenti, i cosmetici e i detersivi, li compravamo, lesinando sulla qualità, nei discount facendo rifornimento per circa metà mese; le uscite di famiglia ridotte a zero; le vacanze? Da tempo le avevamo messe da parte. Riuscire a risparmiare non bastava perché c'erano poi le bollette da pagare; le tasse scolastiche e i libri; il mutuo della casa e la tassa sui rifiuti che continuava a cambiare nome e noi non sapevamo più che cazzo stavamo pagando. Tutte cose che continuavano ad aumentare inesorabilmente. Vista poi la carenza di mezzi pubblici in certe aree del Paese, molti di noi erano costretti a utilizzare le proprie vecchie e usurate automobili, e quindi un ulteriore impegno finanziario gravava sulla tenuta dei focolai domestici. Tutti aspettavamo il cambiamento, la grande svolta, il miracolo forse. Eravamo in guerra, una guerra senz'armi contro un nemico invisibile fatto di egoistici interessi in mano a  pochi burattinai. La nuova resistenza, si avvertiva,  avanzava in ogni parte d'Europa. Una resistenza culturale, fatta con i nuovi straordinari e rivoluzionari mezzi di comunicazione che i centri di potere non riuscivano a controllare. Non riuscivano a fermare l'ondata di indignazione che rimbalzava da un social network all'altro. L'informazione circolava come mai nella storia dell'umanità. La trasparenza delle istituzioni, di dirigenti e amministratori cominciava. Si affermava con prepotenza in barba agli ideali falliti del passato che ne avevano fatta la loro bandiera. Noi resistevamo, nonostante tutto, nonostante  i pessimi esempi etici che avevano fatto dell'onestà l'emblema degli sciocchi. Non si vive di solo pane si diceva, anche se il rischio che venisse a mancare anche quello ci atterriva. Ma noi resistevamo. E alimentavamo la nostra mente con la cultura dell'Open surce e tutto quello che ci aiutava a non morire di inedia con le poche risorse che ci erano rimaste. Nonostante tutto volevamo rimanere onesti; volevamo rimanere umani.

sabato 9 aprile 2016

Una madre

La notai subito mentre si muoveva con passo insicuro tra gli scaffali del supermercato con l'aspetto smunto, il vestire un po' trasandato con maglietta e vecchi jeans. Certo non era una che si può definire una bella donna. Due bambini, silenziosi e fiduciosi, la seguivano ai due lati del carrello per la spesa che era desolatamente semivuoto.
- Mamma, mi compri questo? - gli chiedeva il più grandicello.
- No, è quasi ora di pranzo - rispondeva la donna, ma in modo tranquillo, senza quell'aria intollerante che spesso ho visto nelle mamme verso i piccoli e inevitabili desideri dei loro figlioletti.
- Ma io lo mangio dopo - ribatteva il piccolino
- Questi fanno venire il mal di pancia come l'altra volta. Ti ricordi?-
- No, non mi verrà il mal di pancia -
- Lascia perdere queste schifezze, a casa c'è un'altra cosa buona -
- Si? E cos'è? -
- Te lo dico a casa -
Il dialogo continuò così per almeno un'altra decina di minuti fino a quando il figlioletto comprese che non sarebbe riuscito a spuntarla. Giunta alla cassa la donna pagò la misera spesa e uscì.

domenica 3 aprile 2016

Il cinico

Girava per le sale del museo,  con aria impassibile. Sembrava che niente lo toccasse dei tanti dipinti e sculture che attiravano invece l'attenzione della folla di visitatori, curiosi ed entusiasti, e dell'amico che invece era interessato a ogni aspetto della creatività umana. Egli scivolava con frettolosa indifferenza davanti alle opere in mostra nei grandi e ricchi  ambienti espositivi senza mai soffermarsi su alcuna in particolare. Felice l'aveva convinto ad accompagnarlo con l'intento di fargli passare una mattinata diversa dal solito e dimostrargli che nella vita non esistono solo calcoli e bilanci. Cosa di cui era piena invece la vita dell'indifferente compagno. Il cinico era certo che l'Arte fosse roba da perditempo della quale si potrebbe benissimo fare a meno.

mercoledì 30 marzo 2016

La scampagnata

C'eravamo organizzati con tre macchine per uscire a passare una bella giornata
in un qualche bucolico luogo non ben definito. La mattinata si presentava bene. A parte la frescura di aprile, non si intravedevano minacciosi segnali nell'aria che lasciassero presagire brutte sorprese climatiche. Ci preparavamo ad affrontare una piccola avventura verso una ignota meta armati della nostra perenne allegria e pieni di aspettative per il nostro futuro. Eduardo era un poco più grande di tutti noi. Si era sposato alcuni mesi prima con una delle nostre amiche dopo sette anni di fidanzamento.  Quel giorno, lo invitammo con la moglie a uscire con noi, e lui, con il suo proverbiale e simpatico atteggiamento da uomo sicuro di sé, ci proponeva un elenco infinito di luoghi che intercalava definendoli paradisiaci. Dopo una lunga ed estenuante discussione scegliemmo finalmente la destinazione, anche se non era ancora chiaro il posto preciso. Comunque finalmente partimmo. Eduardo conduceva la carovana con la sua vecchia macchina estera mentre io ero seduto sul sedile posteriore dell'auto che lo seguiva insieme ad altri cinque amici. Tra risate e idiozie che uscivano senza controllo dalle nostre bocche cercavamo di  ammazzare la noia di un tragitto che cominciava a indispettirci per l'incerta conclusione di un viaggio che durava già da due ore. Infine trovammo il posto adatto e corrispondente alle nostre incantevoli aspettative. C'era un bel prato fiorito, qualche mucca qua e là che pascolava serenamente e un ruscello poco distante. Fu una giornata piacevole e allegra. Tra le nostre amiche però, ce n'era una che sembrava non fosse completamente coinvolta dalle nostre spensierate boutade. Sembrava sempre assorta in pensieri più profondi e afflitta da qualcosa che le impediva di godere pienamente  di quei momenti di semplice divertimento.

lunedì 28 marzo 2016

Meglio della televisione

Ci sedevamo a tavola rumorosi e spensierati come lo sono i bambini a quell'età. Il suo posto, com'era d'uso all'epoca, era a capo tavola e ci dava direttive varie riguardo al nostro comportamento. Richiami, scappellotti e pianti erano all'ordine del giorno. Allora, la televisione, che funzionava ad orari ben definiti, la si accendeva a mezzogiorno per seguire il notiziario.Spesso la si teneva spenta quando si pranzava, ma non ne avvertivamo la mancanza. Lui, mio padre, non lasciava vuoti, a tavola parlava sempre coinvolgendo la moglie nelle sue discussioni sugli argomenti più vari. Io, il più piccolo, non capivo tutto delle tante cose che raccontava, però mi piaceva ascoltarlo. E soprattutto mi piaceva quando raccontava episodi di guerra da lui vissuti in prima persona. E li raccontava così bene, che non mi stancavo mai di ascoltarlo. Era meglio della televisione.